Le preoccupazioni sul destino dei mercati azionari sono ben suffragate dal parziale fallimento delle attività delle banche centrali, le cui politiche per il contrasto alla super inflazione sono scarsamente tangibili, e il cui esito potrebbe far precipitare l’economia globale in una recessione.
Ricordiamo come la scorsa settimana la Federal Reserve abbia aumentato i tassi di interesse di tre quarti di punto percentuale – per il più grande aumento dei tassi dal 1994. Anche la Banca d’Inghilterra ha aumentato il suo tasso obiettivo, per la quinta volta da dicembre. E la Banca centrale svizzera ha aumentato i tassi per la prima volta in 15 anni.
Dal canto suo, la BoE ha altresì ammesso che l’inflazione si avvicinerà all’11% in autunno, e la Fed ha appena aumentato le sue aspettative di inflazione per il 2022 di un punto percentuale. Sebbene il Presidente della Fed Jerome Powell abbia affermato la scorsa settimana che c’è ancora una possibilità che l’economia statunitense eviti la recessione, ha altresì ammesso che l’invasione russa dell’Ucraina, la pandemia in corso e le difficoltà della catena di approvvigionamento e dell’energia hanno aumentato il grado di difficoltà nelle azioni delle banche centrali e alimentato sfide talmente grandi da non poter escludere certamente lo stato recessivo.
Ora, ritirando gli stimoli monetari per lunghi anni garantiti e ponendo il focus della politica monetaria in retromarcia, la Federal Reserve e le altre banche centrali hanno creato nervosismo negli investitori, sfogato poi nelle prestazioni deludenti del mercato azionario internazionale.
In particolare, da quando hanno raggiunto il loro massimo storico il 3 gennaio, le azioni statunitensi hanno perso il 23%. Guai però a pensare che tutto sia finito: le azioni USA potrebbero infatti avere ancora molto spazio per scendere, soprattutto se gli sforzi posti in essere per controllare i prezzi dovessero mandare l’economia in crisi.
Insomma, la Fed potrebbe essere disposta a spingere l’economia verso una recessione per tenere sotto controllo l’inflazione, e anche se questo fino a non troppe settimane fa non era certo lo scenario principale degli investitori, ora le cose stanno cambiando e il mercato sta iniziando a scontare questa opportunità.
In caso di recessione gli investitori sanno bene che i mercati azionari difficilmente daranno grandi soddisfazioni. I mercati ribassisti durante le recessioni sono stati storicamente più lunghi e profondi rispetto ai mercati ribassisti che però non sono stati associati a flessioni economiche. Dalla Seconda Guerra Mondiale, le azioni sono scese del 28% nei mercati ribassisti senza recessione – e del 36% in quelli durante le recessioni.
A rendere il tutto ancora più difficile è il fatto che le banche centrali non possono fare più affidamento sugli strumenti che hanno utilizzato nelle recessioni passate. Tradizionalmente, la Fed e le altre banche centrali hanno ridotto i tassi e aggiunto denaro sul mercato per acquistare il debito pubblico e stimolare l’economia. Ma anche se l’inflazione si evolve in una recessione, molti fattori – prezzi delle materie prime, costi del carburante e problemi della catena di approvvigionamento – sono al di fuori del controllo degli istituti monetari. Abbassare i tassi potrebbe peggiorare l’inflazione, annullando qualsiasi moderazione dei prezzi che potremmo ottenere da una recessione economica.
Ad ogni modo, non manca qualche spiraglio di positività. La maggior parte degli economisti che prevedono una recessione si aspettano una flessione molto più contenuta rispetto al crollo dei primi anni ’80. E i titoli azionari potrebbero dunque resistere meglio del previsto se dalle banche centrali arrivassero segnali graditi.
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