Il 7 ottobre è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas, un conflitto pesante che ha portato ad una catastrofe umanitaria con più di migliaia di morti, fino ad ora, e la distruzione di interi quartieri a Gaza. Le conseguenze di questo atroce conflitto rischiano di avere ripercussioni durature non solo sui Paesi impegnati nella rappresaglia, ma sul mondo intero.
L’economia israeliana
L’economia israeliana vanta di un prodotto interno lordo da più di 450 miliardi di euro, un debito pubblico basso rispetto ad alcuni paesi occidentali, una banca centrale che possiede 200 miliardi di riserve in valuta straniera e una scarsa disoccupazione, inoltre, ha delle previsioni di crescita per l’anno in corso del quasi 3%, in aumento per il 2024. Si può quindi definire il Paese più solido del Medio Oriente, anche se da anni e anni è attraversato da diverse guerre è sempre riuscita a risalire e a mantenersi economicamente forte. Ma ora la situazione è degenerata.
Infatti, la mobilitazione di centinaia di migliaia di riservisti israeliani, corrispondenti al 10% della forza lavorativa attiva del Paese, ha causato dei buchi in vari settori. I negozi, le attività, i centri commerciali e i ristoranti sono vuoti, le aziende edili ferme e le compagnie aeree stanno cancellando i voli. Si sta assistendo a un’evacuazione in massa di civili lungo i confini di Gaza, costretti a lasciare le proprie abitazioni e a rifugiarsi in strutture e centri comunitari. Molte aziende agricole sono state abbandonate e ci sono migliaia di lavoratori in congedo non retribuiti. Manca la manodopera e c’è il blocco delle frontiere, che frena per ragioni di sicurezza l’entrata di 140 mila palestinesi con un permesso di lavoro israeliano, e che ha fatto rimpatriare quelli stranieri; il turismo è crollato, così come gli acquisti con la carta di credito, in tutti i settori, compensati solo dalle spese di cibo e di beni di prima necessità ai supermercati.
Il governo è corso ai ripari con un primo piano di aiuti del corrispettivo di almeno un miliardo di euro. Un’operazione è stata fatta anche a sostegno dello shekel, la valuta locale, che è caduta di oltre il 5% da quando è iniziato il conflitto e che ha costretto la Banca centrale a vendere 30 miliardi delle sue riserve in dollari. Inoltre, il PIL si stima che si sia contratto del 2%, mentre la Borsa di Tel Aviv ha perso quasi il 9%. Il settore tech, dall’inizio della guerra, ha avuto forti difficoltà a ricevere finanziamenti esteri perché sospesi o cancellati. E’ quindi arrivata un’iniezione di 25 miliardi di dollari per salvare 100 start-up.
Israele è florida, dovrebbe resistere ancora qualche mese, grazie anche all’apporto di 4,3 miliardi di dollari di supporto erogati dagli Stati Uniti, ma se lo stato di lotta dovesse estendersi e perdurare, anche la sua economia non si sa se e quanto possa reggere.
Le reazioni delle altre economie
L’annosa questione del possesso della striscia di Gaza ha di nuovo scatenato Israele e la Palestina, con un impatto geopolitico importante che influenza anche l’economia globale. E’ stato quasi immediato l’aumento del petrolio per le preoccupazioni in Medio Oriente, mentre prima dell’attacco il costo del greggio era in calo, e si prospetta la fine della pausa all’aumento dei tassi di interessi dalla Federal Reserve statunitense. Preoccupazioni che riguardano anche l’Europa e i contraccolpi che si possono avere sulle prossime bollette energetiche. Mentre le borse e i tassi di interesse oscillano, è anche vero che, per il momento, l’area coinvolta nella battaglia rimane relativamente contenuta per quanto riguarda le materie prime importanti. Infatti, Maxim Manturov, Responsabile della ricerca sugli investimenti presso Freedom Finance Europe, afferma che: “Israele è il 25° partner commerciale dell’Unione europea e rappresenta solo lo 0,8% del commercio totale di beni dell’Unione europea nel 2022”.
D’altro canto, le economie più colpite sono proprio quelle europee per la vicinanza geografica al Medio Oriente e per la loro dipendenza dal gas, il petrolio e le altre materie prime energetiche, oltre a essere quelle più aperte al commercio internazionale, e questo potrebbe ostacolare la già lenta discesa dell’inflazione.
Lo scenario futuro
L’intensità del conflitto e la durata sono ancora incerte. Le implicazioni macroeconomiche dipendono quindi dalla portata e dai tempi, se le ostilità dovessero prolungarsi il peso della tensione si riverserà sulla situazione politica internazionale e sulla finanza, e sarà maggiore sugli investimenti, anche esteri, sui consumi e sui saldi di bilancio. Se si dovesse estendere anche ad altri Paesi, come l’Algeria e l’Iran, in Occidente il costo dell’energia salirebbe insieme ai tassi di interesse e l’inflazione, con i relativi effetti negativi per gli investimenti privati e il debito pubblico. Nuovi elementi di apprensione che si aggiungono a quelli già esistenti dettati dalla guerra in Ucraina ancora aperta.
Per i finanziatori è quindi un momento delicato. Con le giuste strategie si possono però fare buoni investimenti online, affidandosi a broker d’azioni qualificati e competenti.
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